Riguardo ad alcuni brani su Gesù nella revisione della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture del 2017

GRIS Palestrina

Riguardo ad alcuni brani su Gesù nella revisione dellaTraduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture del 2017

 

L’obiettivo dell’intervento consiste nell’analizzare sinteticamente alcune modifiche apportate alla revisione della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture del 2017 rispetto all’edizione del 1987. Questo breve esame si limiterà esclusivamente ad alcuni brani relativi alla divinità di Gesù che, come è noto, nella traduzione dei TdG sono stati palesemente alterati con lo scopo di ridurre il Figlio di Dio a una creatura e di negare il dogma della Trinità. Tuttavia, come è noto, le traduzioni manipolate sono spesso smentite dalla Traduzione interlineare delle scritture greche, ovvero la traduzione interlineare ufficiale geovista dei libri del Nuovo Testamento, alla quale farò riferimento se necessario.

Il confronto ha come doveroso punto di partenza la nota analisi degli stessi brani compiuta da Mons. Lorenzo Minuti nel noto “I testimoni di Geova non hanno la Bibbia” (Roma 1997), il quale ovviamente poteva disporre della sola edizione del 1987 e delle precedenti. Dividerò i passi neotestamentari in due gruppi: i brani che non hanno subito variazioni sostanziali e i brani che hanno subito modifiche rilevanti e meritevoli di attenzione.

  1. I brani che non hanno subito modifiche sostanziali

Risulta confermata la traduzione di Gv 8, 58 (CEI: Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”), nella quale il presente indicativo del verbo essere (ego eimí, io sono) viene tradotto con un indicativo imperfetto, con una manipolazione evidente e priva di alcun supporto logico-grammaticale. L’unica, irrilevante variazione consiste nel “io ero” che diventa “io c’ero”.

L’intento manipolatorio è confermato anche in Gv 14, 14 (CEI: Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò), dove il testo geovista omette arbitrariamente il pronome “mi”, presente invece nella traduzione interlineare. Con questa grossolana traduzione, evidente persino a uno studente liceale, si intende ovviamente affermare che non è possibile rivolgere richieste e preghiere a Gesù.

Nella revisione del 2017 viene mantenuta la controversa traduzione del verbo proskynéo, corrispondente all’italiano “adorare, prostarsi”, dunque un’azione rivolta esclusivamente alla divinità. Come nelle versioni precedenti, il verbo è reso con “adorare” solo quando riferito a Dio (ma anche in relazione a satana e agli idoli) e con “rendere omaggio” quando riferito a Gesù (cfr. Mt 2, 11). La scelta, priva di ogni logica e con evidenti intenti manipolatori del testo sacro, non necessita di ulteriori commenti.

Nell’inno di Fil 2 è stato conservato il significato sostanziale del 1987, con una modifica terminologica:

87        5 Mantenete in voi questa attitudine mentale* che fu anche in Cristo Gesù, + 6 il quale, benché esistesse nella forma di Dio, + non prese in considerazione una rapina, * cioè che dovesse essere uguale a Dio. + 7 No, ma vuotò se stesso e prese la forma di uno schiavo, + divenendo simile agli uomini.

17        5 Abbiate lo stesso modo di pensare di Cristo Gesù, + 6 il quale, pur esistendo nella forma di Dio, + non pensò di appropriarsi di qualcosa che non gli spettava, * cioè l’essere uguale a Dio. + 7 Al contrario, svuotò sé stesso, assunse la forma di uno schiavo+ e divenne come gli uomini.

Il prendere “in considerazione una rapina” è diventato un più neutro e meno violento “appropriarsi di qualcosa”, mantenendo l’arbitrario stravolgimento logico e sintattico del 1987: per i traduttori geovisti Gesù ha evitato dunque di compiere un atto indebito, ovvero quello di essere uguale a Dio. Anche in questo caso, l’imbarazzante costruzione sintattica del periodo non ha bisogno di ulteriori commenti.

Riguardo alle note sostituzioni del temine kyrios con “Geova” – ovviamente assente nel testo greco, compreso quello della interlineare geovista-, si conferma il carattere non sistematico e contradditorio della manipolazione. Solo per fare un esempio, in Lc 1 kyrios è tradotto con “Signore” quando si riferisce a Gesù (v.43) e con “Geova” quando si riferisce a Dio. Evidentemente i traduttori ignorano, o fingono di ignorare, che, per gli autori dei testi evangelici, kyrios è un termine utilizzato inequivocabilmente in riferimento a Dio.

Infine, segnalo una minima variazione per il passo di Mt 26, 26-28 (CEI: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo…Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue), dove la traduzione del 1987 “significa il mio corpo” diventa nel 2017 “rappresenta il mio corpo”.

  1. I brani sottoposti a modifiche sostanziali

Risulta chiaro il modus operandi utilizzato per la traduzione del celebre inno di Col 1, 15-20, sottoposto a una sottile opera di manipolazione. Come è noto, l’edizione del 1987 presenta l’introduzione arbitraria del termine “altre” tra parentesi quadre, aggettivo assente nel testo originale, compresa la traduzione interlineare geovista:

15 Egli è l’immagine+ dell’invisibile+ Iddio, il primogenito+ di tutta la creazione; 16 perché per mezzo di lui+ tutte le [altre]* cose furono create nei cieli e sulla terra, le cose visibili e le cose invisibili, siano essi troni o signorie o governi o autorità. + Tutte le [altre] cose sono state create per mezzo di lui+ e per lui. 17  Ed egli è prima di tutte le [altre] cose+ e per mezzo di lui tutte le [altre] cose furono fatte esistere,+ 18  ed egli è il capo del corpo, la congregazione.+ Egli è il principio, il primogenito dai morti,+ affinché divenga colui che è primo+ in tutte le cose; 19  poiché [Dio]* ritenne bene di far dimorare in lui tutta la pienezza,+ 20  e per mezzo di lui riconciliare+ di nuovo con sé tutte le [altre] cose+ facendo la pace+ mediante il sangue+ [che egli sparse] sul palo di tortura,*+ siano esse* le cose sulla terra o le cose nei cieli.

Nella revisione del 2017 le parentesi sono sparite, lasciando l’aggettivo intruso come parte integrante del testo paolino:

15 Lui è l’immagine dell’Iddio invisibile, + il primogenito di tutta la creazione; + 16 infatti tramite lui sono state create tutte le altre cose nei cieli e sulla terra, visibili e invisibili, + che siano troni, signorie, governi o autorità. Tutte le altre cose sono state create tramite lui+ e per lui. 17 Lui è prima di ogni altra cosa, + e tramite lui tutte le altre cose sono state portate all’esistenza. 18 È il capo del corpo, la congregazione. + È il principio, il primogenito dei morti, + così da essere il primo in ogni cosa; 19 a Dio infatti è piaciuto di far dimorare in lui tutta la pienezza+ 20 e, per mezzo suo, di riconciliare con sé tutte le altre cose, + che siano sulla terra o nei cieli, facendo la pace mediante il sangue+ che lui ha versato sul palo di tortura.

Il procedimento utilizzato è ben noto: con la prima versione si è voluto abituare il lettore a un termine introdotto arbitrariamente, per poi eliminare le parentesi a distanza di 30 anni, quando ormai il brano era stato assimilato a livello di lettura personale e comunitaria. A una eventuale obiezione sulla modifica, potremmo sentirci rispondere che ormai l’aggettivo era presente nel testo e le parentesi non avevano più ragion d’essere. Appare evidente l’obiettivo di ridurre Gesù a una delle tante “cose” create e a negarne di conseguenza la divinità.

Nel Prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1, 1-18) incontriamo una modifica apparentemente irrilevante, che a una lettura più approfondita nasconde lo stesso obiettivo evidenziato per l’inno di Colossesi. Leggiamo al v. 18:

87        18 Nessun uomo ha mai visto Dio; + l’unigenito dio*+ che è nel[la posizione del] seno+ presso il Padre è colui che l’ha spiegato.

17        18 Nessun uomo ha mai visto Dio; + l’unigenito dio+ che sta accanto* al Padre+ è colui che lo ha fatto conoscere.

All’interno di una incomprensibile costruzione sintattica, Gesù, indicato come “unigenito dio” (un dio dunque, ma inferiore al Padre nella visione geovista), cambia per così dire posizione: prima “nel seno del Padre”, poi “accanto al Padre”. Anche in questo caso, l’arbitraria e imbarazzante traduzione prelude probabilmente a una nuova revisione, che decreterà un ulteriore “declassamento” del Figlio rispetto al Padre.

Infine, non desta sorpresa la sorte riservata all’episodio di Gesù e l’adultera in Gv 8, 1-11, che nel 1987 era stato mantenuto, seppure in caratteri più piccoli, con una avvertenza:

I manoscritti אBSys omettono i versetti dal 53° al capitolo 8, versetto 11°, che (con alcune variazioni nei vari testi greci e versioni) dicono quanto segue:

Questa premessa è servita a preparare la revisione del 2017, dove l’intero passo è stato omesso e il cap. 8 inizia dal v. 12. La scelta è motivata dall’assenza dell’episodio nei codici Sinaitico e Vaticano, due delle fonti più autorevoli del testo giovanneo. Agli anonimi traduttori geovisti ovviamente non interessa che la critica testuale abbia stabilito diversamente, e con essa le Bibbie cattolica, ortodossa e protestanti. Il mio sospetto, più che fondato, è che sia stato deliberatamente soppresso un brano che attribuisce a Gesù una facoltà esclusiva di Dio, ovvero quella di rimettere i peccati.

 

 

Appendice

La croce nelle opere di San Giustino

Riguardo alla forma della croce, sulla quale è nota la posizione dei TdG in relazione ai termini stauròs e xylòn, tradotti con “palo di tortura”, riporto la testimonianza di San Giustino, morto martire nel 165:

La figura umana non differisce da quella degli animali irrazionali in nient’altro che in questo, cioè nella posizione verticale e nella capacità di stendere le mani, e nel portare in viso, sporgente sotto la fronte, quello che si chiama naso, attraverso il quale l’essere vivente respira, che non disegna altro che il segno della croce. (Apologia prima, LV, 4)

Nessuno potrebbe dire e dimostrare che le corna dell’unicorno si riferiscono ad altra realtà o raffigurazione che non sia la figura che rappresenta la croce. Il corno unico è infatti il legno ritto la cui parte superiore si sporge in alto come un corno quando viene innestato il legno trasversale, le cui estremità vengono ad essere come corna a lato dell’unico corno. Anche la parte piantata nel mezzo, su cui poggiano coloro che vengono crocifissi, sporge come un corno e va quindi vista anch’essa come un corno foggiato e fissato come gli altri corni. (Dialogo con Trifone, XCI, 2)

Le descrizioni della croce riferite dal santo filosofo risultano molto preziose perché risalgono alla prima metà del II secolo, ovvero al periodo dei Padri apostolici, discepoli e diretti successori degli Apostoli, e confermano le note attestazioni archeologiche sull’argomento. Le parole di Giustino, inserite nel contesto della Apologia prima e del Dialogo con Trifone, mostrano chiaramente come la descrizione della croce a doppio braccio fosse l’unica rappresentazione nota ai cristiani del tempo.

 

© GRIS Palestrina

13 Giugno 2021

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