Rasta o Movimento dei Rastafariani

Rasta o Movimento dei Rastafariani

Cenni storici
La preistoria del rasta risale all’attivi­tà politica di Marcus Mosiah Garvey (1887-1940) che fondò nel 1914 in Giamaica la Universal Negro Improvement Association (UNIA), espor­tandola quindi nel 1916 negli Stati Uniti. Il garveyismo sta ai neri co­me il sionismo sta agli Ebrei: Garvey chiedeva a tutti i neri discendenti di schiavi di ri­tornare in Africa, concentrandosi in particolare in Etiopia (anche se a questa parola veniva attribuito un significato più mitico che geogra­fico). Leader politico più che religioso, si esprimeva peraltro con accenti biblici, sostenendo che il suo Dio, il Dio della Bibbia, doveva essere «adorato attraverso gli occhiali dell’Etio­pia». La nascita del rasta è da collocare «…in Jamaica il 2 novembre 1930 quando fu incoronato al plurimillenario trono d’Etiopia sua maestà imperiale Hailé Selassié, Ras Tafari, re dei re, signore dei signori, il leone conquistatore della tribù di Giuda, 225° erede al trono del re biblico Salomone. La sua incoronazione era stata preceduta da una profezia: “guardate all’Africa dove sarà incoronato un re: il giorno della liberazione è vicino”. Ad aumentare il valore simbolico dell’ascesa al trono, si aggiunge il fatto che in quegli anni, nell’Africa interamente colonizzata, l’Etiopia era l’unico regno indipendente, e la dinastia dei suoi re era di derivazione biblica. Questo evento fu visto… come segno di redenzione per tutti gli africani. Redenzione e liberazione sono due temi importantissimi in questo movimento».
In Hailé Selassié ─ apparentemente senza che l’interessato ne sapesse nulla ─ i rasta giamaicani videro il «figlio del Dio viven­te» e poi Dio stesso vivo sulla terra. Nonostante periodici scontri con la polizia, che temeva la nascita di un movimento rivoluzionario e anti-bianco, il mo­vimento continuava a crescere in Giamaica, sviluppando alcune usanze distintive come l’abitudine anche per gli uomini di rac­cogliere i capelli in treccine annodate, i famosi «dreadlocks».

Nel 1958 il movimento poteva considerarsi sufficientemente numeroso per or­ganizzare a Kingston una «Convenzione Universale», caratterizzata dall’abbondante consumo di allucinogeni («ganja»), con assalto finale alla polizia nel tentativo di «catturare la città di Kingston in nome di Hailé Selassié». Quando il negus etiopico nel 1966 visitò la Giamaica, e fu accolto da una straordinaria folla adorante, egli non manifestò la minima intenzione di trasportare i rasta in Etio­pia. Qualche anno dopo la rivoluzione marxista detronizzò l’imperato­re d’Etiopia, che morì nel 1975. Giacché, per definizione, Hailé Selassié era dio, la notizia della sua mor­te è stata interpretata dai rasta come un  tentativo di disinformazione da parte dell’uomo bianco: Hailé Selassié aveva assunto  una forma spi­rituale in cui può operare in modo più potente ancora che attraverso un corpo di carne. Nel frattempo il Rastafarianismo è diventato un movimento internazionale, diffuso negli Stati Uniti e am­piamente, attraverso gli emigrati giamaicani, in Gran Bretagna. È da notare che l’appello rasta si rivolge non solo ai gia­maicani, ma a tutti i neri. Una certa ambiguità è rimasta nei rapporti fra le organizzazioni più propriamente religiose rastafariane e la Ethio­pian World Federation (EWF) che prolunga il sogno di Garvey di una ri-emigrazione dei neri del mondo in Africa. Molti rasta sono anche membri della EWF, ma non tutti. Un problema consiste nelle relazioni tra la EWF e la Chiesa Ortodossa Etiope, con cui i rasta desidererebbe­ro avere rapporti, ma che di fatto rifiuta ogni contatto con chi crede nella divinità di Hailé Selassié. Un ruolo deci­sivo nella diffusione mondiale del movimento rastafariano ha avuto il cantante Bob Marley (1945-1981; rese popolari le caratteristiche treccine rasta), che si è considerato non soltanto un propagatore della peculiare versione ra­stafariana della musica reggae giamaicana, ma un vero e proprio mis­sionario (o, come preferiva definirsi «emissario») chiamato a diffondere il messaggio messianico rastafariano nel mondo. In Inghilterra gruppi rasta hanno avuto un ruolo importante nei tumulti razziali scoppiati a Brixton nel 1981 e quindi, periodicamente, in altre città inglesi, il che ha spinto alcune autorità locali a indagare sul movimento, producen­do talora documenti di notevole interesse (come il rapporto Rastafa­rianism in Greater London, The Greater London Council, Londra, 1984), che hanno in genere concluso raccomandando una maggiore comprensione per la cultura rasta al di là delle facili criminalizzazioni. Anche se è difficile fornire delle cifre, il movimento rasta sembra in ascesa ovunque vi siano «neri» di qualunque origine etnica. E difficile dire tut­tavia ─ in assenza di una organizzazione centrale ─ quanti dei giovani (e delle personalità pubbliche) che adottano questo o quel comportamento rasta (per esempio l’acconciatura a treccine «dreadlock») condividano integralmente la teologia rastafariana.

Dottrine e organizzazione
Quella dei Rastafariani non è una realtà unitaria, ma un insieme di orga­nizzazioni autonome e fra loro indipendenti. Qualcuno la classifica come sincretista, in quanto aggiunge a temi cristiani altri elementi tipici del folklore di varie popolazioni nere. Altri lo considerano un movimento sostanzialmente ebraico, per la forte prevalenza di elementi vetero-testamentari. Nel­la letteratura del movimento sopravvivono, tuttavia, anche tematiche cristiane.

«Quando si parla di rasta l’equivoco più frequente è di associarlo a sole tre cose: Dreadlocks, Ganja e Reggae. Questa associazione è molto riduttiva…».

È difficile ricostruire una dottrina unita­ria rasta. Se­condo K. M. Williams, le credenze che uniscono tutti i rastafariani possono essere ridotte a due: 1) Ras Tafari (Hailé Selassié) è «il Dio vero e vivente»; 2) «la salvezza per i neri presuppone l’uscita da Babilonia e il ritorno in Afri­ca (in Etiopia)». Entrambi questi principi necessitano, tuttavia, di ulte­riori spiegazioni. Dio, chiamato Jah, è rappresentato con tinte vaga­mente panteistiche come «spirito» che pervade tutti gli uomini.

Essere rasta è un modo di essere, di agire e di credere. Non si può tracciare un unico ritratto del movimento perché non ci possono essere chiese ed interpretazioni rigide (anche Hailé Selassié viene considerato in molti modi diversi, ma comunque rimane una figura importante); il dialogo ed il confronto tra i rasta sono sempre aperti.
Tuttavia ci sono dei principi fondamentali che sono seguiti da tutti i veri rasta. Per un rasta la vita di tutte le cose è sacra e merita il massimo rispetto perché è Jah; Jah è tutto e tutto è Jah.
Una delle caratteristiche più singolari del gergo rasta è il rifiuto delle parole «tu» e «voi» che negherebbero l’unità fondamentale degli uomini in Dio, sostituiti da espressioni come «io e io» (I and I). I An’I: espressione rasta che indica che “Io” faccio parte di tutto. “Io” è sempre soggetto perché ogni uomo è Dio. Nello stesso tempo, Dio si incar­na anche nella storia per guidare il suo popolo attraverso successive reincarnazioni dello stesso messia: Mosè, Davide, Salomone, Gesù Cri­sto e Hailé Selassié. Il Gesù di cui parla la Bibbia è quindi lo stesso Hailé Selassié in una precedente incarnazione.

«I An’I sa di vivere nella “cattività babilonese” e lo scopo è uscire da Babilonia per entrare e vivere in Zion (la casa di Jah dove ogni cosa è armonia). Zion non è nei cieli, ma è qui sulla Terra e appartiene a tutti; I An’I deve essere consapevole di ciò per ottenerlo. I An’I deve sconfiggere Babilonia, per questo deve essere umile e puro perché il regno di Jah è dentro I An’I. Questa battaglia è dura e richiede tutta la vita, bisogna essere forti per non farsi corrompere; questo per un rasta è l’unico modo di vivere e ringraziare Jah della vita, dono che non deve essere rifiutato »

* Jah: è il bene assoluto, cui ogni rasta, ed ogni uomo deve tendere per sconfiggere Babilonia. Rappresenta il concetto di Dio.

* Babilonia: è la prigionia temporale in cui viviamo, il male e la corruzione. Babilonia è sia dentro di noi che fuori. Babilonia è un vampiro che succhia il sangue dei figli di Jah.

Molti testi della Bibbia vengono letti facendo coincidere i salvati con i neri, Babilonia con il mondo degli uomini bianchi e la nuova Gerusalemme con l’Etiopia (un tema che si ritrova in numerosi movimenti sincretisti africani). Altri testi della Bibbia sarebbero stati manipolati dall’uomo bianco che avrebbe, per esempio, occultato il fatto che la pelle di Gesù era nera. I neri del mon­do (un concetto piuttosto vasto che comprende, per esempio, i surina­mesi, ma anche i maori della Nuova Zelanda e gli aborigeni australia­ni, tutti gruppi dove il movimento rasta ha avuto un certo successo) sono insieme i discendenti delle «tribù perdute» di Israele e la reincarnazione degli antichi israeliti (che erano già a loro volta neri).

La falsificazione della Bibbia è soltanto una parte dell’oppressione dei bianchi nei confronti dell’identità nera, da cui l’esperien­za di «dread», di identità frustrata e negata, che ha un ruolo cruciale nella psicologia rastafariana. L’identità negata viene riaffermata at­traverso una serie di pratiche culturali particolari: l’acconciatura, la musica reggae, l’uso degli allucinogeni (canapa indiana nella forma di ganja) ─ che hanno un ruolo sacro negato dall’uomo bianco ─ l’ado­zione di un gergo particolare («afro-lingua»), l’abbigliamento in colori particolari. Contemporaneamente il tema delle «tribù perdute» porta i rastafariani ad adottare una serie di pratiche vetero-testamentarie in campo alimentare e nei rapporti familiari; anche se non tutte le donne rasta sono d’accordo con queste tesi, nelle pubblicazioni del movimento, il femminismo è descritto co­me una prova del «declino morale dell’Occidente» e la sottomissione «biblica» delle mogli ai mariti è sottolineata. Nelle tendenze più estre­me non mancano temi anti-bianchi spinti fino al razzismo e una parti­colare virulenza nella denuncia di «Babilonia».
Il significato dell’«usci­re da Babilonia» non è sempre letterale. Benché il sogno di ritornare in Africa (e in particolare in Etiopia) non sia mai stato abbandonato, molti rasta si rendono conto del fatto che la sua realizzazione pratica in tempi brevi è impossibile. Per que­sto alcuni gruppi rastafariani parlano oggi esplicitamente dell’«usci­ta da Babilonia» come di un viaggio spirituale fuori dalla civiltà do­minata dai bianchi (e tanto più dal mondo moderno irreligioso e deca­dente), più che come un effettivo trasferimento fisico. Il rifiuto del mondo moderno e delle sue tendenze irreligiose ha reso dif­ficili le alleanze ─ tentate soprattutto in Inghilterra ─ fra gruppi ra­stafariani e movimenti dell’estrema sinistra marxista che, dopo aver considerato il rasta come una riserva di potenziali rivoluzionari, oggi «hanno perso la loro fede nel movimento». Il mondo rastafariano si sente in­dubbiamente unito (quanto meno dal suo peculiare gergo), ma non co­nosce un sistema gerarchico unitario, e neppure una vera liturgia. Le varie congregazioni rasta si riunisco­no in momenti di festa e in momenti che chiamano di «ragionamento» (reasoning) in cui si «ragiona» di teologia e di interpretazione dei testi biblici. La festa ─ con la musica e il fumo della ganja ─ è un elemen­to insostituibile della cultura rasta, che rivela qui la sua origine gia­maicana. Per contro, l’idea che «un Dio vivente e incarnato in ogni uomo, e che tutti possono parlare direttamente con Dio» e che «il corpo dell’uomo è un tempio da tener caro e da valorizzare» spiega come «non ci sia bisogno di chiese o di particolari luoghi di culto». Piutto­sto, «la fede è celebrata continuamente attraverso lo stile di vita di ogni rasta.

Un decalogo rasta (da Internet):

1. I Rasta rifiutano deturpazioni del corpo, come : radersi, tatuarsi, tagliarsi i capelli.

2. È sconsigliato mangiare carne, mentre il maiale e i molluschi sono fortemente proibiti.

3. JAH RASTAFARI è l’unico Dio supremo

4. È incoraggiato l’amore per l’umanità

5. Si rifiutano i vizi sordidi, come: gelosia, odio, cattiveria, invidia e ingiuria.

6. Si rifiuta la mondanità e l’edonismo

7. Un unico desiderio è di riunire tutto il mondo sotto le regole di Selassié, con seguaci che costituiscono un’unica fratellanza

8. Ogni Rasta che ha bisogno di aiuto ha la priorità. Dopo, ogni essere vivente, animale o pianta può essere aiutato

9. Devono essere rispettate le antiche leggi di Etiopia

10. Non si deve rispettare una persona solo per l’aspetto o per la sua presenza fisica, per il suo titolo o qualunque altra considerazione. Un Rasta è motivato in tutte le cose per il suo amore per la verità.

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